Ai padroni di nulla
un sogno
Regala sempre
L’ultima curva dell’infinito
È il 17 Marzo1861, una data indimenticabile per l’Italia.
Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato: Vittorio Emanuele II è Re d’Italia e lo Statuto Albertino, diventa la carta fondamentale della nuova Italia unita.
81 articoli di cui 22 per definire le prerogative del re: tra questi il potere esecutivo, la sovrintendenza del potere giudiziario, la partecipazione al potere legislativo insieme al Parlamento, insomma il re non si fa mancare nulla !
Ma in quell’anno c’è un’altra data che ci interessa, precisamente il 16 novembre.
Il 16 novembre 1861, nasce a Ne, paese dell’entroterra ligure, Antonio Prato il suo nome non ci dice molto o almeno per ora.
Al compimento del diciottesimo anno, Antonio in età di leva militare, decide di non presentarsi e lasciare la sua terra. Vuole raggiungere New York cambiare vita, abbandonare la povertà, gli stenti, le privazioni. L’agenzia dove acquista il biglietto e dove probabilmente trova un prestito per finanziare il viaggio, si chiama Grammatica. Il conto, molto salato, si sarebbe saldato nel tempo, con rimesse pesantissime. La prefettura della Provincia di Genova, dichiarava che i biglietti di viaggio acquistati presso gli Agenti incaricati dalla Grammatica non solo non garantivano la possibilità di varcare le frontiere, ma non sostituendo il passaporto rendevano illegale l’espatrio...
“Al mio paese si raccontava che in piazza a quel tempo… non si facesse altro che parlare di piroscafi: di società di costruzione di piroscafi, stazioni Marittime per piroscafi, la fame è così… non lascia troppo spazio alle divagazioni.
Ah dimenticavo, c’erano persino delle gare a chi ne sapeva di più: “il piroscafo della Veloce come si chiama? Venezuela, bravo diploma in apprendista emigrante!”.
“E dove è diretto il Piroscafo Garibaldi? Stati Uniti, bravissimo diploma in esperto emigrante!”.
Più o meno i discorsi erano di questa portata in piazza… nell’osteria no, lì si approfondiva di più, ci si documentava: “Qual’è il porto più importante del Regno? Qual’è il porto dove ci sono più armatori?
Palermo? Napoli? Ma cosa dici scimunito Genova! Genova, Nord, Cristoforo Colombo, Paganini, Andrea Doria.” I miei vecchi immaginavano tutti i genovesi vestiti di nero da ammiraglio, alti come il Dio Nettuno, con il berretto in testa, barba bianca, insomma il ritratto di Andrea Doria. Ogni genovese secondo loro, doveva avere come minimo tre galee o due fregate attraccate al porticciolo… ah che uomini meravigliosi i genovesi, sprezzanti del pericolo, coraggiosi… con quella faccia un po’ così…
Sempre al paese si raccontava che un certo Carmelo Sciolone di Giovanni Sciolone classe 1881 a 11 anni, partì da Crotone insieme al padre, con il treno… credeva anche lui nel mare. Dopo ventidue ore arrivarono a Genova, alla stazione di Piazza Principe, sono le nove della sera, scoprono con stupore, con tanto stupore, che a Genova hanno lo stesso orario di Petilia Policastro, non c’è fuso orario e la gente ha la faccia uguale, magari più chiara di pelle… si decisamente più chiara la pelle. Nell’atrio della stazione, ci sono bambini, donne, vecchi …un odore forte, di sudore e mangiare, più di sudore che di mangiare.
Qualcuno prova a chiudere gli occhi per riposare un po’ certo domani ci si deve imbarcare per l’America. Carmelo non riesce a dormire quella notte, le guardie della Pubblica Sicurezza fanno sgomberare e mandano tutti direttamente al porto. In calata cerca di raggiungere la grande sala della Stazione Marittima costruita appositamente per ricevere gli emigranti…
Carmelo sentirà tante volte questa parola, emigrante… emigrante.
Canzone “Uniti”
I marinai della capitaneria non permettono di entrare, Carmelo, il padre Giovanni e altri disgraziati cercano di sedersi fuori dalla Stazione tengono stretto il loro tesoro i pochi stracci, l’unica sostanza… ma neanche qui riescono a dormire, quella notte le guardie della pubblica sicurezza intervengono nuovamente…picchiano i disperati, picchiano alla ceca, alcuni si difendono, i più cadono a terra stremati dalla fame e dalle botte…
La forza pubblica è sempre forte con i deboli, un po’ meno con i potenti. Malgrado questo qualcuno, anni dopo, si ostinerà a trovare qualche attenuante…
«Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano. Conosco assai bene il loro modo di esser stati bambini e ragazzi, le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui, a causa della miseria, che non dà autorità. La madre incallita come un facchino, o tenera, per qualche malattia, come un uccellino; i tanti fratelli… Hanno vent´anni, la vostra età…»
Pierpaolo Pasolini
Carissimo figlio con molta e di più di consolazione ho ricevuto la tua lettera. Io dico che il tuo fratello Adelmo è scemmunito e mal sposato, ed la moglie non pensa di mantenere in ordine la casa e sorride troppo. E’ stato in casa mia quattro o cinque mesi, si lamentava e beveva molto sono molto preoccupato è andato a lavorare fuori nuovaiorc e la moglie non è arrabbiata come una donna deve essere quando il marito parte per lavorare e non si veste di nero, si veste colorata e sorride troppo. Lo sempre detto io che bisogna sposare donne dello stesso paese e che sanno mantenere casa, cucire e fare da mangiare. Tu continua mantenere buona la terra e le bestie, bisogna caro figlio riflettere che il tuo mestiere è importante, più importante delle donne e certe donne devono andare via dalla nostra famiglia. Se ti muore una bestia è morto il pane, ma se ti sposi una donna di quelle… c’è l’inferno e il demonio. Adunque ti raccomando industria prudenza, Ma non ti sposare senza dirmi niente e farmi vedere prima la donna ma diversa da quella di tuo fratello.
Tuo padre
Sulle banchine del porto c’era anche qualche stamberga chiamata bonariamente, molto bonariamente osteria, ma soprattutto potevi trovare uomini straordinari e.. favolosi, romantici, bevitori delle osterie del porto…
I bevitori delle osterie del Porto
hanno ritmi lenti
trascinano i piedi e non si cambiano il maglione da mesi
I bevitori delle osterie del Porto
hanno dita di tabacco
fianchi di vita e biancoamaro
e sempre una carogna a basso costo
che gira di quarto in quartino
e dentro un caffè con sambuca
i bevitori delle osterie del porto
Cercano il sesso delle nuvole
Il senso matematico delle ombre
I bevitori delle osterie del Porto
aggiungono sempre qualcosa alla foggia del sogno
Forse un approdo troppo rapido
O Forse solo un saluto troppo candido
...i bevitori delle osterie del porto
altri tempi si dirà...
Oggi L’Africa sta scoppiando e le varie mafie si accaniscono sugli esseri umani. Poveri, miserabili, disperati, pronti a tutto pur di approdare nel ricco Occidente. Pronti a pagare fino a 4000 euro, per avere un posto su una carretta del mare. Vivono per anni come schiavi, per raccogliere i soldi che servono unicamente a tentare il viaggio disperato e poi come schiavi si imbarcano. La mafia siciliana, la mafia tunisina e la mafia egiziana si accordano ed ecco che partono le carrette.
Canzone: “La Fuga”
Eri immobile, quella mattina, a scrutare il dubbio:
“un pioniere obbedisce solamente alla vita
si ossigena nella metafora delle cose
...nella poesia del respiro”
smarrivi gli occhi ai piedi dell’universo
era meriggio, lo ricordo bene:
“silenzio, non farti sentire
ho ingannato la fugacità del tempo
i suoi simboli nutrono la mia inquietudine”
Poi a sera, un letto per identificarti:
“ho divorziato dal corpo
sono sovrano, ho indossato occhiali spessi
per la frontiera del dolore
aspetterò la morte o il sonno,
forse solo uno specchio dove spiare
l’ultima illusione concessa dall’esistenza”
ora, il vento della tua voce lontana
sbatte i vetri della mia anima
assorta a cavalcare il mondo, come facevi tu:
“la cenere è il ritratto dell’umanità!”
Si racconta al paese che la maestra Battistina Scalise, nata a Crotone, razzista involontaria o a sua insaputa come si direbbe oggi, un giorno diede da disegnare ai suoi studenti la bandiera italiana, poi con dei chiodini le fece attaccare tutte, su di una cartina geografica d’Italia, ben posizionate sulla Calabria. Nel corso dell’anno più lo scolaro era bravo più saliva al nord: se era diligente arrivava a Firenze, se era bravo a Torino e se era un genio, saliva niente popodimeno che a Milano…
Perchè secondo la maestra Battistina Scalise un genio non poteva altro che emigrare a Milano, mentre il più ciuccio sarebbe rimasto tristemente ancorato alle coste calabre. Peppe il bambino più testone che la storia patria abbia conosciuto, non fece molta strada, la bandierina non si spostò di un solo millimetro dalla Calabria, quella orrenda bandierina incollata all’inizio dell’anno a Vibo Valenzia ci rimase tutto l’anno. All’ultimo giorno di Giugno la maestra disperata, lo chiamò da parte e gli chiese a bruciapelo: “Peppe razza di un testone, gli altri tuoi compagni ora sono a Firenze, Torino…Milano, tu invece ancora a Vibo Valentia cosa hai da dire in tua difesa?” Peppe rispose con una sicurezza disarmante: “Maestra che me ne futte a mia di Milano, siamo a Giugno, vicino a quella città non c’è nessun mare, vicino a Vibo Valentia c’è Tropea, sarò pure testone, ma non sono fesso!”.
Ma torniamo alla nostra storia…
Antonio Prato parte nel 1879, è sdegnato della sua terra, beh per la verità non è il solo...Giuseppe Garibaldi nello stesso anno, lascia anche lui sdegnato la vita politica, indignato dalla corruzione, deluso dalla litigiosità e dalla debolezza dei governi, 21 in 20 anni
“Tutt’altra Italia io sognavo nella mia vita - dice - non questa miserabile Italia dove all’interno ci sono libertà calpestate, leggi inosservate e un Paese umiliato anche all’estero”.
Caro Garibaldi, non è cambiato niente, l’Italia è sempre la stessa!
Antonio deve arrivare sino al nord della Francia. Parte da Genova con il treno, raggiunge Modane e poi il porto di Le Havre e lì si imbarca per l’America.
All’arrivo ogni immigrato è sottoposto ad una visita medica approfondita, discriminatoria piena di pregiudizi. Un volto particolare? insufficienza mentale, una bella x e via alla mental room a rispondere al test:
è mattino o pomeriggio?
Il mio collega è donna o uomo?
Quante zampe ha l’asino?
Disegna un cerchio
Se il test è negativo: espulsione! e ritorno immediato al paese di origine.
Antonio arriva finalmente a New York, si inserisce subito nella comunità genovese anzi viene aiutato con grande solidarietà dai compaesani, ad ambientarsi e a trovare un lavoro.
Saliva ai monti
La sera torrida
Insieme al nostro sudore
Trascinato come bestie
Da soma sfiancate
A casa
Sorsavo vino e fatica
Prima di dormire
E un pezzo di pane
Mi ricordava, di essere vivo
Mia carissima Carmela da molto tempo cerco di scriverti, per farti sapere il mio buono stato di salute e allo stesso tempo lo spero per te. Ti ho scritto altre cinque lettere 8 mesi fa e non ho avuto nessuna risposta, ora cerco di scriverti in americano perché ho un amico, che scrive l’americano. Lo so che non lo capisci ma lo devi sapere a tutti che qui in America si impara presto a fare tutto.
Non vedo l’ora di tornare per portarti a mangiare in tutti i posti del paese con il vestito nuovo. Carmela ti voglio ancora ringraziarti per il tuo regalo, che hai fatto per me nell’inviarmi il pacco dove ho trovato due paia di scarpe, tre paia di calzini, indumenti e altre cose. Come mi hai detto nella tua lettera che mi spediresti qualcosa d’altro, se puoi mandarmi qualcosa, ha bisogno di un paio di pantaloni e anche se stiamo diventando ricchi i pantaloni italiani sono più belli e ancora delle scarpe anche quelle sono più belle, in America le fanno strette e fanno male ai piedi.
Ciao Carmela e tante grazie.
All’inizio del Novecento in America c’è un miscuglio di disprezzo e ostilità soprattutto per neri e italiani, visti come popolo del sud, mediterraneo, inetto, inaffidabile; sono pregiudizi coltivati non solo nei bassifondi, ma nelle élite economiche e intellettuali.
Nel 1891 a New Orleans questo clima di odio provoca un evento drammatico, nove siciliani vengono massacrati, perché ritenuti, a torto, colpevoli dell’uccisione del capo della polizia.
Forse ci prendevano a pugni
Per smascherare i nostri silenzi
Pieni di dignità e tristezza
Forse ci calpestavano
Perché parlavamo solo una lingua diversa
Eravamo Italiani
ma ci sentivamo tanto negri!
Altri tempi si dirà...
Fragole, nespole, mele, uva, olive, pomodori: oggi in Italia ci sono braccianti, che lavorano come schiavi dodici ore al giorno, senza alcun diritto e senza alcuna tutela, distrutti, sfiniti in tutta Italia, a due passi dai nostri centri urbani.
Francesco Pinna aveva vent'anni, lavorava e studiava. Per mantenersi l'università accettava lavori "a chiamata", per cinque euro l'ora o poco più.
13 dicembre 2011
Francesco Pinna, operaio per due giorni, era uno degli addetti all'allestimento del Pala Trieste per in concerto di Jovanotti. Un crollo del gruppo motore che sosteneva il palco e il ragazzo si è ritrovato schiacciato da un peso di oltre duecento chili.
3 ottobre 2011
Tina, 37 anni - Matilde, 32 - Giovanna, 30 - Antonella, 36
Maria Cinquepalmi, 14 anni figlia dei proprietari del maglificio
Quattro operaie morte a Barletta dopo il crollo di una palazzina di tre piani che le ha inghiottite insieme al maglificio in cui erano impiegate. Le 4 donne non avevano contratto, lavoravano in nero, una prendeva 3,95 euro all’ora le altre più fortunate quattro
Canzone “L’Assurdo”
Antonio Prato, si stabilisce in città e senza perdere tempo informa la sua fidanzata Teresa, le chiede di raggiungerlo, ma soprattutto le chiede la cosa più bella... le chiede... di sposarlo, in America.
Teresa Raffo, anche lei è di Ne, parte, senza pensarci ha solo diciotto anni e vuole raggiungere il suo Antonio; si imbarca a Le Havre nell’aprile del 1882 e arriva a New York con La nave Amerique, un lungo viaggio verso una nuova vita e finalmente vicina al suo futuro sposo, vicino al suo grande sogno…
Di lì a poco
Un filo di sirena
Avrebbe cancellato
L’ultimo singhiozzo della mia terra
Portandosi via
ginocchia sbucciate
e qualche salto alla corda
di lì a poco
quel filo di sirena
avrebbe cancellato
l’ultimo singhiozzo di un mondo
che ormai avevo perduto
Teresa desidera sposarsi … una scelta dettata dal cuore… ai nostri giorni si parla ancora di matrimoni combinati e di donne che incontrano il marito solo la prima notte di nozze.
9 settembre 2013
Nello Yemen la piccola Rawan 8 anni è stata venduta dal patrigno per poco più di 2000 euro ad un quarantenne. Rawan è morta nella stanza di un albergo la prima notte delle cosiddette nozze, per emorragia interna.
Nada, 11 anni, è riuscita a fuggire, ha denunciato la sua famiglia che la voleva costringere a un matrimonio deciso dai genitori. Piuttosto che dire sì al matrimonio combinato “morirei”, “molte bambine hanno deciso di gettarsi in mare e ora sono morte”. La povera Rawan morta dissanguata evidentemente, non ha fatto in tempo neppure a gettarsi in mare.
Canzone “L’inganno”
Caro Padre e Madre vi scrivo questa mia lettera per farvi sapere che io sto bene come pure la mia moglie e i figli Ugo, Carmela,, Sisina, Maria, Dante, come spero che sarà di voi due, forse anche più meglio di noi. Se io avrei pensato di stare bene così vi avrei fatti partire con me. Vi facio sapere che vi avevo scritto per Natale . Sono tornato a stare a Nuovaiorc. Vi facio sapere che in Lamerica va un pò male perché non ci sta lavori per tutti io pure lavoro tre giorni la setimana. Vi facio sapere che il 14 magio fanno la cumugnione anche Ugo e Dante . Tanti saluti a tutti i parenti e a quelli che domandano di me in paese, e anche a quelli che si sono dimenticati di domandare di me, tanti saluti la famiglia di mia moglie che è incinta di nuovo speriamo di maschio.
Immaginare Teresa alla partenza non è difficile, basta guardare quelle vecchie foto di donne strette nei loro scialli, con fagotti, quel sorriso ostentato, soffocato di dolore, insicurezza, paura per la separazione, l’isolamento, la nostalgia per l’abbandono della propria terra...immaginare Teresa alla partenza non è difficile, basta non chiudere gli occhi di fronte al dramma delle migrazioni di oggi, donne in fuga da nuovi deserti, terre desolate, guerre, violenze. Donne il più delle volte invisibili nel processo migratorio, oggi come allora.
Una gemma azzurra
nella deriva dei continenti
un mare chiuso come il dramma
che sale alla sommità
di un fagotto freddo
in fondo alla stiva
come solo perimetro di inferno
altri tempi, si dirà...
All’inizio del 1900, poche navi avevano l’elettricità a bordo, quasi nessuna aveva un impianto di scarico… mille, millecinquecento viaggiatori di terza classe senza un bagno… il dormitorio maschile era diviso da quello femminile si diceva per evitare promiscuità. Un medico dell’epoca scrisse:
“l’impressione di disgustosa ripugnanza che si riceve scendendo in una stiva dove hanno dormito degli emigranti non si dimentica più!” umidità, sporcizia, topi, esseri umani stremati o malati a trentadue gradi di calore.
Carissima mia madre vi mando questa per dirvi le mie notizzie e anche per sapere le vostre di tutti voi in compagnia, mi perdonerete della mia poca capacità a scrivere a voi, però quando io devo scrivervi io mi dispiace tanto che non lo potete credere perchè sempre mi viene delle notizzie grame e mai buone anche se meno cattive di quando tu cara madre mi dicevi che stavi per morire dal dolore perché io ero partito per Lamerica. Spero che tu muori solo per modo di dire non morire veramente perché aspettami presto al paese perché sono quasi ricco.
tuo figlio Ture
Oggi...Lampedusa peggio di Ellis Island, i trafficanti di uomini del ventunesimo secolo più spietati dei negrieri del 1700. La porta più meridionale d’Italia e d’Europa da anni accoglie barconi carichi di disperati, dopo viaggi della speranza durante i quali vivono in condizioni peggiori dei nostri migranti del 1800 e 1900 e persino degli schiavi neri portati via dall’Africa. Sono i mercanti di corpi della tratta a decidere le rotte ad applicare con meticolosità tariffe differenziate. La dignità umana non è evidentemente compresa nel prezzo. A Ellis Island, l’isola davanti alla costa di New York dove fino ai primi del secolo scorso approdavano i nostri concittadini che migravano verso il sogno americano, i migranti italiani si presentavano alle visite mediche d’ingresso almeno con una valigia, dopo che le altre due, il bagaglio di una vita, venivano sistematicamente sottratte durante la traversata.
Chi arriva oggi in Italia, porta con sé solo i vestiti. Indossano tre o quattro paia di pantaloni alla partenza perché durante la traversata stipati nei barconi si fanno i propri bisogni addosso, non essendoci lo spazio per muoversi. Per non parlare delle donne mestruate che arrivano in condizioni igieniche al limite dell’orrore.
L’ ultima beffa
È l’azzurro di un cielo
Ormai senza neppure
il senso di vergogna
Il viaggio era drammatico per le donne sole, pieno di insidie e pieno di aguzzini pronti ad approfittarne...
altri tempi si dirà...
Novembre 2013 in uno dei tanti barconi che dalla Libia arrivano «Tutte le donne sono state stuprate». Lo ha detto il capo della Squadra mobile di Agrigento, che ha individuato anche gli autori degli orrori: i membri dell'organizzazione criminale che gestiva la tratta dei migranti. Le donne sarebbero state offerte dai trafficanti anche ai miliziani libici. Nel racconto ci sono tutte le bestialità possibili, compresi pugni, frustate e torture con scosse elettriche.
Canzone “Oriente del Nord”
Antonio e Teresa si sposano presto e il matrimonio è celebrato a Manhattan il 1° maggio 1882, in una data storica per tutti i lavoratori del mondo, o almeno lo diventerà solo 4 anni dopo quando a Chicago il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia sarà repressa nel sangue; così il congresso di Parigi della Seconda Internazionale del 20 luglio 1889 lancerà l’idea di una grande festa internazionale di tutti i lavoratori, di tutti i paesi e in tutte le città nello stesso giorno, per chiedere alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore.
Antonio e Teresa sono sposi, (licenza N°133636).
Superano tutte le difficoltà e realizzano il loro sogno americano, trovano una prima casa in Sullivan Street per poi trasferirsi in McDougal Street. La loro diventa una bella famiglia, nascono Ida, Emilia, Edoardo e poi Antony.
Emilia trova un lavoro presso la Triangle di Washington Place. La Triangle era una delle tante aziende dove lavoravano emigranti dopo l’ultimazione dell’Asch Bilding nel 1901; in questo edifico si avvia la produzione di capi d’abbigliamento, i titolari della fabbrica sono Isaac Harris e Max Blanck, i reparti di produzione sono agli ultimi tre piani dell’edificio.
Immaginare Emilia lavorare in quella fabbrica è facile, quattordici ore, senza sosta, nell’inferno di quei locali vere e proprie gabbie in cui le lavoratici sono rinchiuse per paura che potessero rubare o facessero troppe pause. Emilia come le altre lavoratrici si consuma giorno dopo giorno in turni invivibili, in ambienti malsani, tra vapori di ferri da stiro alimentati a gas, fra tessuti infiammabili e pochi secchi di acqua per spegnere gli incendi. Le porte dei reparti si aprono solo verso l’interno e spesso sono chiuse dai “capetti” che non vogliono perdite di tempo alla toilette. Sono le ore 16 di sabato 25 marzo 1911, una lama di fumo invade un reparto della Triangle, “in pochi minuti, il pomeriggio di primavera si tramuta in una tragedia immane, un momento terrificante tronca la vita di tante giovanissime lavoratrici, quando le fiamme verranno spente ci saranno 146 corpi inermi”. I passanti testimoniano l’orrore del tentativo disperato di chi salta dalle finestre del nono piano e si sfracella al suolo. Si radunano i corpi in una interminabile fila, sono tutti adagiati nelle casse mortuarie, i parenti e i compagni di lavoro, riconoscono i cadaveri, scrivono i nomi: tra loro c’è anche Emilia Prato
Canzone “Sorelle”
I proprietari della fabbrica Max Blanck e Isaac Harris, che al momento dell’incendio si trovavano al decimo piano e che tenevano chiuse a chiave le operaie per paura che rubassero o facessero troppe pause, si misero rapidamente in salvo e lasciarono morire le donne. Il processo che seguì li assolse, anzi l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni operaia morta: il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari, ogni cadavere aveva fruttato ai Signori Blank e Harris 370 dollari!
altri tempi si dirà...
24 Aprile 2013 periferia di Dhaka, Bangladesh
Una nuova tragedia ha colpito l’industria dell’abbigliamento a basso costo i morti sono 1138 il 90% sono giovani donne tra i 15 e i 30 anni.
John Sifton portavoce dell’ONG statunitense “A guardia dei diritti umani” dice che una debole protezione dei diritti dei lavoratori ha contribuito al determinarsi della tragedia a Rana Plaza, dove i sindacati erano assenti. “Se una o più delle industrie del Rana Plaza fossero state sindacalizzate, i lavoratori avrebbero potuto rifiutarsi di entrare nell’ edificio quel mercoledì. Il diritto di organizzare un sindacato in Bangladesh non è solo una questione di ottenere un salario equo, è una questione di salvare vite.” Ognuna delle famiglie delle vittime riceverà dal ministero per la Gestione dei disastri 184 euro di indennità.
Si vabbè, ma succede in posti lontani, non civilizzati si dirà...
Dicembre 2013 Prato
Sette operai morti e due ustionati. Morti come topi in trappola, sorpresi dalle fiamme in letti di fortuna nella fabbrica-dormitorio dove lavoravano e vivevano o meglio dove sopravvivevano, nel soppalco di una fabbrica tessile cinese, come ce ne sono migliaia a Prato. Lavoratori rinchiusi in fabbrica come schiavi, in alloggi di cartongesso di due metri per due, i bambini dormono negli scatoloni, senza servizi igienici, scaldandosi con bombole ed è forse proprio una perdita di gas la causa dell’incendio che, propagandosi in fretta fra i tessuti, ha fatto crollare il soppalco. Chi è riuscito a scampare al crollo e alle fiamme si è trovato in una trappola mortale: finestre e porte sbarrate per impedire la fuga agli operai. Gli operai lavoravano per due euro all’ora per tredici ore al giorno.
Si vabbè, ma succede perché sono cinesi, non certo italiani si dirà...
5 luglio 2006 MONTESANO MARCELLANA (Salerno).
Due operaie bruciano vive nella fabbrica abusiva di materassi. Giovanna aveva 15 anni e lavorava in nero. Aveva interrotto gli studi e trovato un lavoro per portare qualche soldo a casa. Ce ne sono a centinaia, come lei, in questi paesi sperduti nell’interno della provincia salernitana, pronte a consumare per un pugno di euro gli anni più belli della vita davanti al banco di una fabbrichetta, che in realtà è un seminterrato senza aria nè misure di sicurezza, naturalmente abusivo. Una morte lenta e dolorosa quella di Giovanna rimasta imprigionata tra le fiamme, arsa viva con un’altra operaia, Annamaria Mercadante, di 49 anni.
Si vabbè ma succede solo al sud, si dirà...
Prima qualche innocua fiammella, poi un incendio, un’ ondata di fuoco, operai trasformati in torce umane. Uno di loro, Antonio Schiavone, muore quasi subito. A gli altri (Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi, il più giovane con i suoi 26 anni) toccarono giorni o settimane di straziante agonia.
Torino Thyssen: 6 dicembre 2007
all’Assise di Confindustria la platea di imprenditori presenti, applaude e riserva una calorosa accoglienza ad Harald Espenhahn, l’amministratore delegato della ThyssenKrupp Italia, condannato il 15 aprile dalla Corte d’Assise di Torino a 16 anni e mezzo di reclusione per omicidio volontario; una sentenza dettata dalle palesi violazioni delle misure di sicurezza messe in atto dal manager tedesco.
«Una signora mi ha chiesto come faccio a difendere degli assassini, io rispondo che non sono assassini». Per l’avvocato Paolo Sommella, genovese, tutti gli imputati per il rogo in cui morirono sette lavoratori alla ThyssenKrupp, bruciati vivi, «sono da assolvere».
La sua tesi difensiva è semplice, elementare: «Non è stato commesso alcun reato». Aggiunge: «Nessuno di noi difensori si spingerà a sostenere che vi fu negligenza da parte dei lavoratori. Nessuno ha avuto colpa in quella tragedia». Non lo dice, ma è come se lo dicesse: fu fatalità.
Canzone “Il nostro mondo”
Da quella partenza da Ne, con la storia di Antonio Prato e Teresa Raffo, a quella di Torino della ThyssenKrupp, dalla fabbrica del Bangladesh a quella del Pakistan a quella di milioni di persone del mondo di oggi che non riescono neppure a raggiungere le coste di una terra per vivere, abbiamo voluto raccontare le tante speranze di chi ha cercato rimettendoci la vita, una condizione dell’esistenza almeno accettabile; abbiamo voluto raccontare di tante Emilia, donne e uomini, arsi dalle fiamme in un lavoro senza diritti.
Per tutte queste persone, nessuna esclusa, noi oggi diciamo...
Emilia, per sempre, è una di noi
Canzone “ Giostra di Aprile”